Illustrazioni di undici pittori liguri: Cristina Sosio, Carlo Giusto, Pio Vintera, Giovanni Tinti, Rita Spirito, Caterina Massa, Aurelia Trapani, Pietro De Paoli, Augusto De Paoli, Ermanno Morelli, Emanuela Venier.
Dalla prefazione di Francesco Gallea: “Le parole del mare – Lettere e poesie dalla Liguria” è un libro strutturato originalmente. Vi sono accostate prose e poesie. Emozioni e riflessioni vi si condensano in un contesto di cultura umanistica. L’acqua del mare è il filo conduttore che lega e guida la costruzione del libro e ne costituisce l’ispirazione”.
E dalla postfazione di Sergio Giuliani: “Non ama ripetersi Franca Maria Ferraris, scrittrice di produzione raffinata e costante… Dall’indice ho subito compreso cosa passasse per l’ispirazione dell’autrice: non un esile percorso, ma un “opus magnum”, ovvero tematicamente multiplo, eppure unitario d’ispirazione… E così conclude: “Una mappa geografica nuova per lei, ma antica al tempo stesso. Infatti, il filo d’acqua del suo fiume (il Bormida) va, da millenni, a sfociare nel mare
Giorgio Bàrberi Squarotti così afferma in una nota critica all’interno del libro: “Molto interessante e suasivo è questo nuovo libro di Franca Maria Ferraris “Lettere e poesie dalla Liguria”, ma anche suggestivo per la densità delle immagini e delle descrizioni che vi sono contenute. Un’opera di notevole valore poetico e divulgativo”.
Così si esprime Luigi Tribaudino, Presidente del Premio letterario “Garcia Lorca” nella motivazione incisa sulla targa del Premio Speciale “Corrente Alternata” 2005, assegnata al libro “Le parole del mare - Lettere e poesie dalla Liguria”: “Il libro che fa di ogni lettore un ‘ligure’ di adozione”.
Grandi gigli dai petali bianchi
nei giardini di sabbia del litorale antico
con ali di libellule giganti
si aprivano al raggio del mattino.
Solo una volta li vidi fluttuare
come danzassero al suono di un violino
e ne aspirai l’essenza musicale
confusa col profumo del mare.
Scomparvero una sera
volando oltre le nebbie azzurrine
degli estremi orizzonti.
Assetati di onde e d’infinito,
rapidi si allontanavano
da queste sponde umane
per cercare le rive
di un mondo altrove consentito.
“…Never land…Never flowers…”
“La terra che non c’é…Mai rifiorisce…”
Così cantavano le onde
disperdendo le tracce di quei gigli,
come se mai
nessuna terra li avesse germogliati,
come se a nessun fiore
fosse concesso pascersi di sabbia
se non in un’oasi ritrovata…
LA’ ERA ITACA
Il confine tra il cielo e il mare scomparve.
L’orizzonte finì
confuso in un azzurro di perla.
Di fronte stava un’isola bianca,
luccicante come un prato di neve.
Bordando a freno la scotta delle vele,
orzando in direzione del grecale,
fendendo l’onda di prua e di chiglia,
la costa venne incontro al mio veliero
come sgusciata da un cavo di conchiglia.
Là era Itaca,
l’isola naufragata nel pensiero,
la terra mai più rivisitata
se non nei cari sogni.
Il delfino di Arione
che temevo inghiottito da un’ondata,
ora tornava a stagliarsi ai miei occhi
reggendo in dorso quella chiara visione,
quasi un’epifania dell’infinito.
Itaca di fronte a me stava splendente
così come le Pleiadi in Orione,
e il suo bianco granito illuminato
dalla felicità del mio ritorno,
era il segno tangibile del luogo
da cui peregrinando
mai veramente il cuore
si era allontanato.