Ecco uno stralcio della prefazione che Sirio Guerrieri fa al libro: “Un epistolario d’amore”: “L’iter narrativo, sotto la spinta dell’assillo creativo, sembra consumarsi fino all’epilogo in una sinfonia lirica condotta secondo il ritmo di un colloquio interiore attraverso il quale viene a focalizzarsi l’intensità amorosa che, con il dono di sé, fa grande un amore”.
Nella sua Nota Critica all’interno del libro, così Sergio Giuliani definisce il libro “Un epistolario d’amore”: “Fabula moderna, ricca di flash di cultura coranica. Si legge come un’alleviata e luminosissima storia d’amore, ma anche come un dialogo tra culture, abitudini e fedi diverse, sebbene non necessariamente non comunicanti”. Premio speciale “Porta dei Leoni” 2003 - Reggio Calabria.
Mia carissima Ester,
io non sapevo parole d’amore. Non conoscevo né baci né carezze, né la dolcezza che un solo sguardo può svelare. Non conoscevo le pene d’amore né l’ansia che si cela in un’attesa, né come il sole salti simile ad un puledro imbizzarrito, allorché vede profilarsi il lembo di una vela che varca l’orizzonte.
Io non sapevo cosa fosse amore, quel sentimento che fa desiderare di stare sempre accanto a chi si ama. Ora, solo nel sogno, vicino a me ritrovo l’immagine di Achmèt. Ora, quando io guardo il mare, vedo approdare lento il suo veliero, e lui che scende e mi viene a cercare. Cintura alta egli porta alla vita, alta come la fascia di un Hidalgo. Cintura di raso damascato, e una maschera da domino sul viso, per non farsi conoscere. Ma io conosco il cuore del mio Hidalgo, tra mille altri lo riconoscerei, perché ha un soffio d’amore così caldo, così intenso ha lo sguardo che incanta e che consola. Con lui vorrei salire sul veliero che attraversa le azzurre pianure, e giungere fin là oltre il confine, dove nascosta tra gli azzurri veli, regna l’Eternità.
Mentre così lo sogno, chissà dove sarà Achmèt, e se ancora egli mi penserà.
Quest’attesa mi colma di un’ansia indescrivibile.
Ti abbraccio Inès
Caro Ardeshir,
Stasera la luna e le stelle sono nascoste da un velo di nuvole. L’oscurità sarebbe completa se i mozzi a babordo non avessero acceso i fuochi e le lampade a olio. Il buffone della nave si è addormentato, sazio di zenzero e di gulàb. Gonfiano le vele del vascello raffiche potenti che evocano l’ansito di un mostro in agguato. Non mi rifugio all’interno. Ritto sulla tolda, mi lascio sferzare dal vento, mi lascio investire dalle ondate. Voglio stordirmi, annullarmi. E’ così lontana l’isola di Bergéres, sembra irraggiungibile, addirittura inesistente.
Bevono sidro d’orzo, i marinai accanto a me. Cantano inni ad Harùt e a Marùt.
Tutto l’oro di Aleppo e di Damasco non basterebbe alle loro brame. Orecchini di perle pendono dai loro lobi tumefatti, amuleti d’osso di tigre si agitano sui loro petti villosi.
Li sento urlare, imprecare, litigare, azzuffarsi come cani selvaggi. Io, con il mantello fradicio, li guardo come i traditori della mia stessa volontà. Mi accorgo di stringere tra le mani un velo leggero che il vento vorrebbe strapparmi. L’ho trovato aprendo un baule. Non so come vi sia capitato, so che apparteneva a Inès. Profuma di viole selvatiche, e trema come le sue braccia che mi stringono, palpita come le sue labbra che mi baciano.
Ti saluto con nostalgia e affetto.
Il tuo amico Achmèt.