Franca Maria Ferraris

Recensioni

 

Giudizi di importanti critici sulle opere - Recensioni 2016

DAL MENSILE SAVONESE “IL LETIMBRO” - SETTEMBRE 2016

FRANCA MARIA FERRARIS TRADUCE LE POESIE DI CHRISTINA ROSSETTI

Franca Maria Ferraris ha avuto ed ha gran coraggio nell’aver proposto un continuum di raccolte sempre più meditate, resistendo al gran disturbo dell’idea di bellezza che si è dilatato in progressione geometrica, in parallelo alla folcloristica partecipazione a chiamate d’”arte” di tutti i tipi di motivazioni. Dai brevi poemi che avevano al centro l’avventura individuale dell’intrico dei ricordi e degli affetti, veri viaggi di Orfeo a riveder la luce, alle dichiarazioni di affetto e di debito d’arte agli scrittori scelti a maestri, la Ferraris ha scoperto un antico amore, un’antologia di versi di Christina Rossetti ed ha sentito che tradurre è come inventare, quasi un marciare su selciato dove l’acqua non rimpozza ed è un impegno - forse l’unico meritevole davvero oggi- per rivelare la presenza dell’universo poetico al di là degli sbalzi di secoli. Scegliere - per amor di poesia- l’impegno della traduzione è un atto di matura umiltà. Ogni traduzione è tradimento, riappropriazione di un dire che non è nostro, ma che deve tendere a diventarlo. Spesso è un accogliere nuove ricchezze, nuove felici “ambiguità” nel traducere da un contesto culturale ad un altro, assai differente per linguaggio e per spazio- tempo. “L’isola che non c’è” di Franca Maria è quello stupefacente parco letterario al femminile fiorito tra le costrizioni del perbenismo che costrinse una piccola Pleiade di donne assai sensibili, colte ed intelligenti, a recludersi nelle proprie stanze, combattendo piaceri e dolori dei rapporti sociali ed affettivi in un’opera continua di affinamento di se stesse, quasi una religione dell’animo votato a ricercare la verità. Da Christina Rossetti a Emily Dickinson, dalle sorelle Bronte a Jane Austen, fino a Virginia Woolf, sulle due sponde dell’Atlantico si sviluppò una cultura di molto studio e di una eticità religiosa modernissima e fatta d’angoscia, di “Timore e tremore” kiekegaardiani di uscir fuori dalla traccia della volontà divina, di non saperla capire, di ostacolarla pur non volendolo. Questo comune sentimento della grandezza di Dio agì da elemento paralizzante nella vita pratica, dove decidere qualcosa come il matrimonio comporta uno stato d’invincibile incertezza, ma formò allo stato cristallino la loro scrittura. La copertina del libro riporta, quindi, tre nomi di donne: la poetessa dell’Ottocento, l’innamorata traduttrice che ha capito con chiarezza che, ai nostri giorni, scomparsi i grandi scrittori, la poesia e la letteratura tutta soffrono di disattenzione e di frettolosità interessata a captare un’attenzione evanescente ed effimera, e che ha prestato i suoi lirici strumenti a una grande partitura e l’ha rifatta viva, e la pittrice che ha arricchito la pittura con le sue tavole e con la sapiente consulenza nella traduzione dei testi. Di questo ha bisogno la poesia, per radicare anche al tempo nostro: una sofferta ascesi per costruire rapporti umani non su psicologismi epidermici, ma su un “itinerarium mentis ad Veritatem”, che comporta anche la negazione dell’amore, di una fede dogmatica pur di giungere alla limpida pulitezza della parola- Verbum. Franca Maria ha portato a compimento il fascinoso influsso su di lei di Christina, ne ha studiata e capita la pienezza nutrita dalla particolare fede nell’anglicanesimo e dalla tradizione familiare italiana e, soprattutto, mazziniana, che le fu maestra di passioni, radice dei suoi curatissimi canti.

SERGIO GIULIANI

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DAL SETTIMANALE CATTOLICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITA’, CULTURA
SETTEGIORNI
dagli EREI al GOLFO
22 maggio 2016

Christina Rossetti (Londra 1830- 1894), è una raffinata poetessa italo – britannica. Il padre Gabriele, era un professore di lettere italiano. La madre, Frances Polidori, era la sorella del medico di Lord Byron, John Polidori. La Rossetti si interessò al movimento anglo-cattolico, e ancora diciottenne si impegnò sentimentalmente con il pittore James Collinson, ma la relazione finì perché quest’ultimo si convertì al cattolicesimo. Morì di cancro nel 1894, e venne seppellita nell’Highgate Cemetery. All’età di 31 anni pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Goblin Market and Other Poems (1862), e la poetessa venne salutata come la naturale erede di Elisabeth Barret Browning. Continuò a scrivere e a pubblicare per il resto della sua vita e si concentrò soprattutto sulla poesia devozionale e per i bambini.
A darci la possibilità di leggerla è la poetessa Franca Maria Ferraris, che ha tradotto un buon numero di poesie della Rossetti con il titolo All Heaven is Blazing (Tutto il cielo è splendente), titolo di una poesia della Rossetti. La pubblicazione è di Bastogi libri, un’opera di tanta bellezza, con testo a fronte, arricchito dalle splendide illustrazioni di Maria Teresa Di Tanna.
La Ferraris, ligure, vive a Savona, ha al suo attivo altre opere poetiche tra cui Chalycanthus, Anemos, Venti ritratti e altre poesie, Di Valbormida il cuore, D’amore e di guerra, Le Rose di Hebron, Amor sacro, L’altra Didone, Dedicato al silenzio, Animali in teatro, La grazia dei riflessi - con acqueforti della pittrice Cristina Sosio, e il romanzo fantasy Aquilius e la stirpe del Drago – progetto grafico - artistico e illustrazioni di Cristina Sosio.

EMANUELE ZUPPARDO

Centro Culturale Zuppardo - Gela

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Nel libro Tutto il cielo è splendente, le poesie di Christina Rossetti sono tradotte con l’intelligenza e la sensibilità che solo la poesia sa donare. La complicità instaurata con la poetessa inglese, lontanamente vicina, è stata la carta vincente della traduzione. Intriganti e invitanti anche le illustrazioni nella loro apparente, “nativa” primitività.

FRANCESCO D’EPISCOPO

Università Federico II di Napoli

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Tutto il cielo è splendente

Il volume di poesie di Christina Rossetti Tutto il cielo è splendente, con testo inglese a fronte, è stato tradotto da Franca Maria Ferraris, la quale così riassume la poetica della famosa poetessa inglese: «Nella poesia della Rossetti vibrano i temi cari al Romanticismo quali l’esaltazione del sentimento, della passione, della natura come specchio delle emozioni, dello spirito anelante l’infinito; tuttavia, in questa particolare tessitura espressiva, la poetessa affonda l’incisività della sua parola sintetica, precisa, priva di languori e dei brividi dell’orrido, insinuando nell’ardore di una creatività individualistica quella nitida lama di razionalità che universalizza i contenuti».
Raffinate illustrazioni di Maria Teresa Di Tanna si inseriscono nel percorso tracciato da questi versi, dando corpo ad alcune visioni che potrebbero essere scaturite dalla stessa lettura o che comunque ben si armonizzano con la poesia di Christina Rossetti.
Nella prima parte del libro troviamo pagine dedicate al rapporto intercorrente tra Natura e Vita. Christina Rossetti, come del resto tutta la sua famiglia, amava molto gli animali e la natura in generale. Ella si descrive come «anzitempo appassita», sentendo gravare su di sé tutto il peso del tempo che scorre inarrestabile, togliendo vigore ed entusiasmo a ogni forma di vita: «Tieni l’amore per la giovinezza, e le viole per la primavera», «questa insulsa cosa sfiorita, un tempo fu una rosa».
Tutta l’esistenza della poetessa ruota attorno alla sua fede anglicana: «Sii puro, mio cuore appassionato; / Finirà la vecchia terra, ne verrà una nuova: / Quietati e conquista la tua dimora / Dove mai più il mare esisterà». «Attraverso la durezza e il rigore, / Cuori cari, così la forza si acquista».
La fede che sorregge la poetessa a ogni singolo passo, nell’occasione di ogni più piccola scelta o gesto o parola, non ammette dubbi. Poiché, in tale ottica, Dio sa tutto e ha previsto tutto, ella non può nemmeno custodire un proprio segreto. Malgrado la solidità della sua fede, la religione comunque non le garantisce una stabilità assoluta. Infatti, l’andamento umorale registra alti e bassi: «Sono stanca d’essere qui e di non esserci, / Stanca di prevedere e ricordare, / Stanca di ciò che ho e di ciò che vedo, / Stanca di me, e che nulla di nuovo mai accada; / Oh impaziente pazienza della mia sorte amara!». E al tempo stesso Christina Rossetti si dice: «Debole e tuttavia perseverante, disperata eppure sperante».
Nella seconda parte del volume la curatrice ha radunato, invece, poesie dedicate al rapporto esistente tra Amore e Morte, che possono risultare parimenti forti.
Per ragioni religiose la poetessa ha rinunciato, in un paio di occasioni, a sposarsi. Nonostante la sua fede incrollabile, tali scelte non devono esserle comunque risultate facili, a giudicare da quanto traspare dai suoi versi: «Ancora vieni a me nei sogni, così che io possa rivivere / La mia vera vita pur nel gelo mortale».
Anche se Tutto il cielo è splendente, nell’animo di Christina Rossetti si annidano molte contraddizioni, del tutto umane. Ella si chiede: «Se ora potessi indovinare il suo segreto, / Ne varrebbe la pena? - / Si abbrevia il tempo, la speranza declina, / Sempre meno fiorisce l’amore: / Che importa a me di un sì o di un no?». Allo stesso tempo la poetessa trae conforto dal suo «primo amore, mia Madre, sulle cui ginocchia / Imparai a conoscere quell’amore che non è tormento / la cui forza mi dà una speciale dignità». Tuttavia «Dormire finalmente un sonno senza sogni» rimane un’aspirazione della poetessa, la quale continua a sentirsi combattuta soprattutto a causa di quella parte di sé che ella considera sempre inadeguata.
Per valutare la particolarità dello stile del traduttore, può risultare utile almeno un raffronto con un altro esempio di traduzione (seppur precedente di svariati anni) di una delle poesie più famose di Christina Rossetti: “A Casa”. Nella pubblicazione di BastogiLibri leggiamo: «Quando sarò morta, il mio spirito tornerà / Per cercare chi frequentava la mia casa. / Entrerò e rivedrò i miei amici / In festa sotto i verdi rami di un arancio; / Di mano in mano essi si passano il vino, / Succhiano la polpa di pesche e di susine; / Cantano, ridono e scherzano / Poiché ognuno dall’altro è amato.» … «Rabbrividivo sconfortata, ma nessun gelo / Attraversava la tavolata; / Rabbrividivo e tutto dimenticavo, triste di restare, / Eppure alla separazione riluttante; / Attraversavo le stanze familiari, / Io, ormai morta all’amore, / Come il ricordo di un ospite / Che si trattiene un giorno soltanto».
In Il Cielo è Lontano (Fabbri Editori, stampa 2000), a cura di Giuliana Scudder, invece leggiamo: «Dopo la morte, il mio spirito / si volse a cercare la casa ben nota: / varcai la soglia, e vidi gli amici / a banchetto sotto aranci frondosi. / Il vino passava di mano in mano, / addentavano prugne e pesche succose, / cantavano, scherzavano e ridevano / perché si volevano bene.» … «Rabbrividii sconsolata, ma non volli / gettare gelo su quel desco: / dimenticata rabbrividii, ero triste, / eppure riluttante al distacco. / Lasciai la stanza familiare, / io che alle spalle avevo lasciato l’amore, / come il ricordo di un ospite / che si è trattenuto appena un giorno».
Colpisce subito la diversità dei tempi verbali: Franca Maria Ferraris cerca di rendere più attuale e coinvolgente la poesia optando, all’inizio, per il tempo futuro. Sulla scelta dei singoli termini ci sarebbe poi molto da riflettere, poiché, come ha scritto la stessa Franca Maria Ferraris, «ogni nuova traduzione porta in luce elementi, e potenzialità nascoste, tutti da riscoprire nel mutare delle epoche e delle generazioni».
Nella terza parte di Tutto il cielo è splendente,“From Sing-song”, Christina Rossetti ricorda al lettore cosa sia, in sostanza, un atto di fede: anche se nessuno ha mai visto il vento, né lo potrà mai vedere, non per questo esso non esiste, come dimostrano i suoi indubitabili effetti.
La quarta sezione è riservata alle Poesie Religiose. Per l’ennesima volta la poetessa dimostra grande umiltà e di non sentirsi all’altezza del proprio compito e quindi dello scopo della sua vita: «Quanto deboli e pochi fossero i miei sforzi, / Tiepida nell’amore e nell’azione impotente, / Desiderosa di mietere mentre fiaccamente seminavo». «Dammi il posto più basso: o se questo stesso / Troppo alto sarà ancora per me, creane uno più in basso / Dove io possa sedermi e guardarti, mio Signore».
La quinta parte del libro, composta da quattordici sonetti, contiene il poema “Monna Innominata”, ispirato dalle letture di Dante e Petrarca. Riemergono pulsioni soffocate nell’animo della poetessa: «Un giorno così poco significante in apparenza, mentre tanto significava; / Se ancora potessi far rivivere quel tocco, / Il primo tocco delle nostre mani – il solo che abbia conosciuto!».
Christina Rossetti ama profondamente ogni creatura, non solo Dio. Tuttavia, ella precisa: «Io amo, così come tu vorresti amare me, il sommo Dio; / E se uno dei due dev’esser perso, vorrei non fosse Lui, ma tu» … «l’amore è tale in me / Da non poterti amare se non amo Lui, / Così come non posso amare Lui se non amo te».
A conclusione del volume, la sesta sezione: il “Commiato”, dedicato all’Italia, in occasione del quale la poetessa si lascia sfuggire: «Alla quotidiana consuetudine ritorno, / Recitando il mio ruolo fino in fondo. / Amen, io dico, amen».

CLAUDIA MANUELA TURCO

Dal sito: http://www.literary.it/dati/literary/t/turco/tutto_il_cielo_e_splendente.html

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