Prefazione di Milena Milani, Illustrazioni di Michela Savaia.
Scrive Milena Milani nella prefazione (intitolata: Sul palcoscenico della vita): “Gli animali in teatro di Franca Maria Ferraris mi stanno tenendo compagna da mesi. Da quando ho ricevuto il manoscritto mi sono addentrata nelle storie che lo compongono e adesso anche di più perché il libro viene pubblicato con la copertina e i disegni colorati di Michela Savaia che, a loro volta, partecipano alla grande recita collettiva, su un palcoscenico ideale di cui anch’io sono meravigliata spettatrice. Un bestiario singolare, animali-attori che raccontano le loro vicende, come se fossero persone e intanto entrano nelle esistenze altrui, quelle degli uomini e delle donne sulla terra, i quali accettano con stupore e piacere le osservazioni e i commenti delle bestie che sono, in fondo, la nostra proiezione umana. Certamente, nel riflettere su quanto succede, diciamo a noi stessi che tutto è vero. Infatti, chi ha avuto la fortuna di vivere gli anni dell’infanzia accanto agli animali, soprattutto domestici come cani e gatti, è diverso dagli altri perché ha in sé un’esperienza unica e indimenticabile. Chi ha trascorso lunghi periodi in campagna può essere considerato privilegiato poiché ha potuto rendersi conto di quanto le bestie contino nelle nostre giornate, dai cuccioli che aprono gli occhi, fiduciosi nei loro padroni, fedeli in ogni senso a coloro che gli vogliono bene, con i quali hanno uno scambio totale di affetto, a quelli cresciuti e invecchiati in una famiglia che li ha allevati, curati e protetti. La Ferraris è una persona speciale, con il suo sguardo attento vede e coglie anche gli impercettibili segni che passano da uno all’altro essere vivente, quella complicità che esiste anche a nostra insaputa, con le sfumature più sottili e vivaci, tra chi è una creatura umana e tra chi gli è devota, due entità che si comprendono e che, per miracolo si sono scelte. C’è anche, nel suo universo poetico, una vasta gamma di animali poco conosciuti, bestie che possono intimorire o impaurire di cui l’autrice, con mano felice, traccia ritratti. Tutti compaiono sul palcoscenico allestito per la rappresentazione, ognuno nl proprio ruolo quasi fosse in attesa di applausi. Un elenco di protagonisti come nell’antologia di Spoon River, e ognuno colpisce la nostra immaginazione. Savaia, con le sue tavole brillanti, contribuisce a farcele scoprire nelle singole sfaccettature, nelle insolite posizioni con cui si presentano ai nostri occhi, quasi fossero veramente parlanti, pronti all’attacco, o alla sottomissione. La lista è lunga, perché tantissime sono le varietà degli animali dai primordi a oggi. Eccoli alla ribalta, in attesa dell’esibizione. Franca Maria Ferraris continua a muovere i suoi fili con estrema cautela perché la tenerezza potrebbe vincerla e lei, invece, vuole essere equilibrata. È una poesia, la sua, dove ogni animale si presenta asl meglio, senza avere, però, studiato la sua parte. Le bestie descrivono sé stesse con amorevole partecipazione: “Accettateci, cercate di capire come siamo, veniteci incontro, e noi saremo come voi, contribuiremo a rendere più bella la vita, ognuno al proprio posto, con diritti e doveri”. Il paesaggio dove si svolgono i monologhi che in fondo sono dialoghi, fa da scena agli avvenimenti. Il sipario è ormai aperto ai due lati con il suo velluto rosso cupo, le decorazioni in oro zecchino luccicano di splendore, le voci riempiono lo spazio, vivificano l’ambiente, lo inventano a seconda di chi viene avanti. Inizia il passero, di solito frivolo e cinguettante, stavolta è affamato in cerca di cibo, c’è neve e inverno, si troverà qualche briciola per lui? La rassegna va dal corvo allo scorpione, dalla farfalla all’iguana, dall’ape alla tigre, dal cobra all’agnello, sino al gran finale molto letterario, l’enorme balena Moby Dick, sempre tutta bianca, come fosse innocente e invece non lo è. Si chiede la Ferraris: “Chi vincerà tra il Bene e il Male?” È una domanda che anche i lettori si pongono ed non vorrebbero che lo spettacolo fosse già al termine, bisogna dirlo all’autrice. Il sipario si chiude con l’immagine del liocorno, animale del mito, chiamato “il transformer” che, in quell’unico corno, ha la possibilità di essere trasformato in altri animali. Proprio come la poesia dove ogni parola, a seconda del contesto, può assumere significati diversi. Questo strano Spoon River delle bestie parlanti resta nel ricordo come poesia da rileggere, con il suo ritmo musicale, le sue varie tonalità, le sue realtà e il suo mistero”.
Milena Milani, Albisola giovedì dieci giugno 2010.
Ero un angelo sbucato dalle brume
nel vento di tempesta,
io, albatro d’oltremare,
venuto a posarsi sul bompresso
di quest’antica nave.
Beccavo il cibo offerto dalla ciurma
e volavo d’intorno alla fiancata
per portare un augurio di festa.
Ma tu, vecchio marinaio della ballata,
tu, senza ragione alcuna, mi uccidesti.
Ed il libeccio che soffiava in poppa,
all’improvviso tacque:
e come un lago d’olio,
stregato il mare giacque.
Il mio corpo stava squarciato sulla tolda
tra il cordame e le piume disfatte,
fino a che venni sollevato in alto
e appeso al collo, al posto della Croce,
di quello stesso che mi ferì a morte.
Da qui, ebbe inizio la vendetta
e di folgore perì l’intera flotta.
Restò vivo soltanto il vecchio marinaio
col tragico destino di espiare il misfatto,
raccontandone al mondo la viltà.
Egli non aveva saputo
vedere in me
la creatura del soprannaturale,
l’albatro angelico mandato dal Divino,
con un messaggio di felicità.
“Dimmi su”, fece, “T’ordino di dirmi -
Che genere di uomo sei mai tu?”*
L’AGNELLO DI NEVE
Era alto il mantello di neve
sulla vasta pianura,
ed io lo strano agnello
dal vello maculato
al pari della lonza dantesca,
venni fuori da un tronco fatato
come dalla famosa selva oscura.
Volli seguirti nella neve fresca,
ma le zampe vi affondavano arrossate
facendo più lento il mio cammino,
mentre la sferza del vento mattutino,
irta di spilli mi pungeva le nari.
Sulla soglia di scuola mi arrestai,
guardai stupito i ragazzi nei banchi,
ruotando gli occhi lucenti come fari.
“E’ l’agnello di neve!” uno gridò eccitato.
Ma all’odore dei libri e dei gessi,
tra spirali di numeri e parole,
fu così forte l’idea della fuga
che su per l’iperboreo sentiero
raggiunsi rapido il tronco fatato,
e mai più mi volli allontanare
dal favoloso paese del mistero.