Ibiskos Editrice, 1998 - 1° edizione, prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti pagg. 61
Liguria Editrice, 2003 - 2° edizione, Prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti- Postfazione e note a cura di Sergio Giuliani- pagg. 78.
Scrive Giorgio Bàrberi Squarotti nella prefazione allo stesso libro: “… il poema ha una coerenza rigorosa, perfetta… e nomi ed eventi della storia ci stanno dentro per la lezione di esemplarità che ancora danno, perché il male della storia si rinnova e ripete di continuo, e altri nomi, altre lacrime, altri morti potrebbero essere chiamati a fornire la sigla d’avvio dei testi”.
E Sergio Giuliani, nella postfazione: “I nomi si fanno leggeri nell’incedere poetico, flatus vocis (Armir, Varsavia, Rommel, Guderian, i Thunderbolt…), fermati però al registro talmudico e biblico, immani libri di fede proprio perché del soffrire corale.
E ancora Silvano Demarchi: “Qui i momenti salienti del secondo conflitto mondiale, sono espressi in un verso fluente, appassionato, sotto l’insegna del sublime, nonché vivificato da immagini suggestive e singolari. Dal poema si coglie tutto il male della storia e la sua tragicità”. (da: Giudizi critici, all’interno del libro)
Al libro “D’amore e di guerra” sono stati assegnati otto primi premi dai vari Concorsi letterari nazionali e internazionali. Cosi scrive la Giuria nella motivazione del Primo Premio “Massimiliano Kolbe”: “Nel poema “D’amore e di guerra” che, attraverso cinquanta scansioni, percorre un ideale Via Crucis segnata dal rullo dei tamburi di guerra, dalla persecuzione, dal dramma della storia, Franca Maria Ferraris dipana con misura, e al tempo stesso con passione, secondo un ritmo di rappresentazione scenica, un canto epico ricco di metafore, e raggiunge, al di là delle inquadrature di morte e di dolore, un traguardo di sintonia umana, emblema di pace, di amore, di vita. (La Giuria: Liana De Luca, Enrica Di Giorgi Lombardo, Giovanni Chiellino).
Fredde stanze d’inverno,
preferirei le sabbie del deserto,
preferirei quel tenero velluto
uscito appena dall’oasi notturna
per scaldarmi e sognare
campi di girasole contro il cielo.
Preferirei un velo
di tenue zanzariera da gran Sud,
e palme al sole e luoghi
dove non siano fredde le lenzuola,
dove lacere foglie di brina,
non si accostino ai fianchi indolenziti
da quell’umida traccia nelle ossa.
E invece neve, neve sopra neve,
e il sorriso d’aurora della madre
e il sembiante dei volti circostanti
chiuso nello sgomento
che aveva un solo nome,
il nome di chi mai
avrebbe imprigionato nelle canne
lumi di lucciole o zampe di formiche,
il nome di chi ebbe l’ingrata ricompensa
di un gelido sudario
per coperta perenne.
LA NOTTE STAVA CHIUSA
La notte stava chiusa
dentro grevi coperte militari
che schiacciavano il cuore,
stava negli occhi all’erta
che al lume di una lampada oscurata
provavano il sentore di trovarsi
dentro la triste stanza delle esequie.
Il giorno, sul fango e sulla neve
passavano i sodati
col passo pesante e cadenzato,
cittadini del paese della morte.
Passavano come sui campi di battaglia,
frustrati dal vento e dalla pioggia,
la loro vita in giuoco
che vale meno di un pieghevole giunco,
il sorriso remoto che rammenta
sogni di spose e danze,
il desiderio troppo presto infranto
di avere ancora giorni, giorni di sole vita
con un lavoro in banca o in officina.